La nascita del vivaismo viticolo

Le vicende storiche che si sono susseguite dopo la scoperta dell’America hanno avuto profonde ripercussioni sull’economia agraria dei paesi europei, ed in particolar modo sulla viticoltura e sull’enologia. Infatti fino alla metà dell’ottocento la vite europea era coltivata ovunque senza difficoltà, ma nel 1854 fu riconosciuta per la prima volta in America del nord la Fillossera (Viteus Vitifoliae) un insetto della famiglia degli afididi. Purtroppo, intorno al 1860 arrivò in Francia producendo enormi devastazioni e in Italia comparve per la prima volta nel 1879 causando la distruzione di interi vigneti.

Dopo aver cercato vari mezzi di lotta diretta senza successo, si passò alla lotta indiretta ricorrendo all’impiego dell’innesto su vite americana che, pur essendo anch’essa attaccata dal parassita, non era soggetta al marciume. Come portainnesto vennero scelte le varietà americane pure cioè: Vitis berlandieri, Vitis riparia e Vitis rupestris. Queste pur essendo indenni all’attacco della Fillossera erano carenti sotto il profilo dell’adattamento a terreni magri, asciutti e calcarei. Si iniziarono perciò incroci e selezioni per avere tipi di viti più adatte all’innesto e ai nostri terreni. I portainnesti incrociati sono Riparia x Rupestris, Berlandieri x Riparia, Berlandieri x Rupestris.

All’inizio del novecento, a partire dall’Italia settentrionale si è andata diffondendo la pratica di effettuare l’impianto del vigneto con barbatelle già innestate. Attualmente in Italia vengono messe a dimora circa 100 milioni di innesti-talea, che rendono il nostro paese leader mondiale.

 

 

 

                     Le operazioni di innesto

Un’operazione cosi delicata quale è l’innesto è naturalmente legata a particolari condizioni di riuscita, dalle quali dipende non solo il successo dell’operazione in se stessa, ma soprattutto del connubio che si viene artificialmente ad istituire fra i due bionti. Per quanto riguarda le operazioni d’innesto occorre in primo luogo preparare il materiale. Le talee di portainnesto, vengono preparate a 35-40 cm con taglio basale sotto un nodo, normalmente si procede all’accecamento manuale delle gemme salvo la basale, e questo processo è rivolto ad impedire lo sviluppo di germogli laterali durante la forzatura e la messa a dimora in vivaio. Le marze, cioè il nesto, sono tagliate ad una sola gemma subito sopra il nodo. Prima di procedere all’innesto, è buona norma tenere il materiale in immersione in acqua per 12/24 ore con un fungicida per favorire la reidratazione dei tessuti ed impedire l’attacco di muffe. Le operazioni d’innesto sono solitamente fatte tra la fine di febbraio e marzo. Per ridurre i costi di produzione delle barbatelle sono state introdotte delle macchine innestatrici e le più utilizzate effettuano un innesto ad omega.

 

Forzatura dell’innesto-talea

Dopo aver eseguito l’innesto,le barbatelle vengono sottoposte ad una prima paraffinatura con lo scopo di tenere ben aderenti il portainnesto e il nesto, dopodiché passano alla forzatura che consiste nello stratificare le barbatelle in cassoni di legno o di plastica con della segatura. Le barbatelle così sistemate vengono portate all’interno della camera di forzatura che può essere una serra od un capannone, appositamente riscaldati per accelerare il processo. La tendenza attuale è quella di impiegare temperature piuttosto elevate ed una umidità dell’80-90%. E’ opportuno però non esagerare per evitare di ottenere delle cicatrizzazioni troppo grosse che sono sinonimo di sforzo della pianta e quindi di impoverimento del materiale di riserva che porterebbe ad una minore ripresa in vivaio. Terminata la forzatura, che può durare dai 15 ai 20 giorni, le casse con le barbatelle non vengono subito messe in vivaio, ma vengono portate in ambiente non riscaldato in modo da favorire l’irrobustimento del callo.

 

Messa a dimora delle barbatelle in vivaio

Terminata la fase di forzatura, le barbatelle vengono tolte dalle casse, pulite dalla segatura e imparaffinate una seconda volta per rafforzare nuovamente il punto d’innesto e per evitare che vengano disidratate quando sono in vivaio. Successivamente vengono messe in cassette di plastica contenente acqua e ormoni che favoriranno la produzione di radici durante l’accrescimento. Dopodiché sono pronte per la messa a dimora.

Il terreno da destinare a vivaio deve essere perfettamente lavorato, deve possedere una struttura che assicuri l’aerazione ed il perfetto drenaggio dello strato in cui le radici devono svilupparsi e deve essere opportunamente concimato per assicurare un buon sviluppo vegetativo. Dopo aver preparato il terreno si esegue la pacciamatura con del film plastico nero, che consente un più veloce riscaldamento della terra e un allontanamento delle piante infestanti, dove andranno piantate le barbatelle verticalmente ad una profondità di circa 15 cm.

Durante la fase vegetativa sono indispensabili i trattamenti anticrittogamici, lavorazioni del terreno tra le file con piccoli coltivatori, e l’importantissima potatura verde che consiste nello sfoltire la massa vegetetativa con un’apposita macchina munita di lame. Questo comporta un maggior arieggiamento e una maggiore maturazione dei tralci.

Durante i mesi più caldi, se necessario, è possibile ricorrere all’irrigazione tramite manichette forate precedentemente stese sul terreno sotto il film plastico. Tramite l’irrigazione a goccia possiamo eventualmente apportare anche dei concimi quali azotati o potassici per favorire uno sviluppo migliore. Questo procedimento si chiama fertirrigazione.

Alla caduta delle foglie, cioè verso novembre, si procederà all’estirpo delle barbatelle tramite un’apposita macchina costituita da un aratro vibrante che consente di togliere la terra dalle radici delle piante.

Successivamente le barbatelle vengono portate in capannone e potate a due gemme, imparaffinate per la terza volta, etichettate e stoccate in celle frigo. Qui le barbatelle sono protette da torba inumidita in attesa della commercializzazione.

 

 

 

 

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